E’ uno dei test di screening femminili più utilizzati per avere una diagnosi veloce, è sicuro e fornisce indicazioni precise sullo stato di salute dell’ utero. Negli Stati Uniti è obbligatorio farlo ogni 12 mesi, mentre in Italia non c’è una normativa vincolante, ma tutte le donne dovrebbero farlo almeno una volta ogni tre anni. Ma in quanti lo conoscono? Il Pap test (o citologia cervicovaginale) è un esame citologico che indaga le alterazioni delle cellule del collo dell’ utero. Il suo nome deriva dal medico greco-americano Georgios Papanicolaou (1883-1962), il padre della citopatologia. Egli sviluppò questo test per la diagnosi rapida dei tumori del collo dell’ utero. Da allora il Pap test è rimasto pressoché invariato, e solo in anni recenti è stato aggiornato con lo sviluppo della citologia in fase liquida. In Italia fu avviato per la prima volta da un medico napoletano, il Prof. Mario Tortora, discepolo di Papanicolaou sin dal 1953.
A COSA SERVE
Il Pap test è un test di screening, la cui funzione principale è quella di individuare nella popolazione femminile donne a rischio di sviluppare un cancro del collo uterino. Inoltre il Pap test può dare utili indicazioni sull’ equilibrio ormonale della donna e permettere il riconoscimento di infezioni batteriche, virali o micotiche.
IN COSA CONSISTE
Per l’ esecuzione del Pap test viene prelevata una piccola quantità di cellule del collo dell’ utero con la spatola di Aire e un tampone cervicale. La spatola ha una forma complementare all’ anatomia della cervice e una volta inserita è in grado di prelevare cellule grazie a una rotazione di 360°; il tampone invece, del tutto simile a quelli usati per la faringe, preleva le cellule penetrando nell’ orifizio uterino esterno.
PAP TEST CONVENZIONALE O LIQUIDO
Nel pap test convenzionale le cellule prelevate vengono strisciate su un vetrino per l’ esame di laboratorio. Nel pap test in fase liquida, invece, una macchina provvede ad allestire un preparato a “strato sottile”. Indipendentemente dal tipo di allestimento, le cellule vengono colorate secondo il metodo di Papanicolau ed esaminate al microscopio da un citologo o patologo che provvederà a stilare un referto.
COME LEGGERE IL REFERTO
Il referto, sino a ieri numerico, viene oggi comunicato con una sintetica descrizione dello stato delle cellule. In Italia la classificazione consigliata e più frequentemente utilizzata è il Sistema Bethesda 2001 (TBS 2001) che suddivide i risultati del test in:
– negativo: non evidenza di cellule tumorali
– LSIL: cellule di lesione squamosa intraepiteliale di basso grado
– HSIL: cellule di lesione squamosa intraepiteliale di alto grado
– AIS: cellule ghiandolari sospette per adenocarcinoma in-situ del collo dell’ utero
– carcinoma: cellule sospette per tumore infiltrante
– ASC-US: cellule squamose abnormi, non ulteriormente classificabili
– ASC-H: cellule squamose abnormi, non si esclude una HSIL
– AGC: cellule ghiandolari (endocervicali od endometriali) abnormi, non si può escludere un tumore
Le diverse risposte riflettono diverse probabilità di sviluppare o già presentare un tumore del collo dell’ utero. In generale, in caso di test “non negativo” è indicato un approfondimento diagnostico o una ripetizione a breve scadenza del test. In altri casi una ripetizione dell’esame è dovuta semplicemente ad una insufficiente quantità delle cellule prelevate o ad un’infiammazione che può impedire la corretta interpretazione dell’ esame.
AVVERTENZE
Il prelievo dev’essere effettuato lontano da rapporti sessuali, dalle mestruazioni, dall’ impiego di irrigatori vaginali, ovuli o candelette. L’ esame può essere effettuato anche durante la gravidanza. In base alle linee guida europee e della Commissione Oncologica Nazionale, nella fascia di età compresa tra 25 e 65 anni sarebbe opportuno effettuare il test almeno ogni tre anni. Negli Stati Uniti si esegue ogni 12 mesi.