Da una recente stima dell’ Accademia Italiana di Flebologia, risulta che il 78% della popolazione femminile italiana soffre di vene varicose in forma lieve, moderata o grave. Le categorie più a rischio sono quelle che passano molte ore in piedi (medici, infermiere, estetiste, bariste, cameriere, operaie e parrucchiere), ma anche chi mette le gambe sotto stress, come le cicliste o le educatrici degli asili nido che tengono sempre i bimbi in braccio. Altri fattori di rischio per le vene varicose sono le gravidanze multiple (le pareti delle vene sono molto sensibili alle variazioni ormonali), la stipsi e gli sforzi emorroidari, la predisposizione familiare, l’ obesità e il sovrappeso, nonché l’ assunzione protratta per molti anni della pillola anticoncezionale.
Contrariamente a quanto si crede, la dilatazione della vena safena (sono due per gamba) e delle collaterali, inizialmente, non dà dolore. Gli unici sintomi sono un grande senso di pesantezza alle gambe, alternato a crampi, torpore e formicolii. Quando subentrano il calore, il dolore e il gonfiore, è in corso una reazione infiammatoria acuta (flebiti o tromboflebiti) che esige cure tempestive. Per questa ragione occorre giocare d’ anticipo, quando le vene varicose non provocano dolore.
Gli esami da fare subito per le vene varicose
Poiché prevenire è meglio che curare, chi avverte un senso di peso alle gambe e ha casi di varici in famiglia, dovrebbe rivolgersi a un agiologo che stilerà una diagnosi avvalendosi di due cruciali strumenti: l’ ispezione e la palpazione clinica (osservazione dei tronchi venosi, dei piedi e della postura) e l’ ecocolordoppler, che consente una definizione ecografica dello stato e del decorso della piccola e grande safena, delle vene perforanti, di quelle profonde e delle reticolari più superficiali che formano una specie di rete da pesca. In questo modo si realizza una mappatura a colori dei flussi venosi e si scopre se è presente un’ incontinenza valvolare: le valvole a nido di rondine, che normalmente impediscono il reflusso del sangue venoso verso il basso, non tengono più. Da qui la stasi venosa.
Le terapie mininvasive per le vene varicose
Per tonificare le pareti delle vene, vengono prescritti dei farmaci flebo tonici, da assumere per diversi mesi, a base di meliloto, rutina, diosmina associata all’ esperidina, vite rossa, centella asiatica e ananas. Non fanno miracoli, ma insieme all’ uso di calze e gambaletti a compressione graduata, prevengono l’ aggravarsi della situazione. In caso di flebiti acute o ricorrenti, è necessario associare farmaci che fluidificano il sangue, come l’ eparina.
Fortunatamente oggi, per chiudere le varici, esistono diversi metodi a seconda delle vene interessate. Le reticolari rispondono bene alla terapia con iniezioni sclerosanti, tecnica ambulatoria supercollaudata che consiste nel far collimare le pareti delle varici tramite l’ iniezione di sostanze chimiche irritanti.
Più nuovo è l’ utilizzo del laser endovasale e della flebectomia mininvasiva, due tecniche indicate per tutte le varici, in particolare le collaterali alla safena e le perforanti (quelle che mettono in comunicazione le vene superficiali con quelle profonde). La prima metodica consiste nell’ inserire all’ interno del vaso una sonda laser, collegata a una fibra ottica, che emette tanti sport luminosi pronti a chiudere le pareti.
La flebectomia mininvasiva consente di sfilare, con una specie di uncetto, solo il tratto varicoso malato, preservando l’ integrità della vena. Entrambe le tecniche sono ambulatoriali e passate dal Servizio di Sanità Nazionale. In caso di varici safeniche complesse e di ulcere venose, si ricorre invece allo stripping: lo sfilamento chirurgico dell’intera vena malata, realizzabile anche in anestesia locale, con una notte di degenza.