Il liquido amniotico è il liquido incolore contenuto nel sacco amniotico in cui il feto galleggia nel corso della sua permanenza in utero. La sua composizione è molto simile a quella del plasma e il suo ricambio nei nove mesi è garantito dalla continua produzione e ingestione fetale. Durante la gravidanza la sua presenza serve a mantenere costante la temperatura interna al sacco amniotico e a proteggere il nascituro dagli urti provenienti dall’esterno e dalla pressione prodotta dalle contrazioni uterine.
Nel travaglio la cosiddetta “borsa delle acque”, che si forma tra la testa (o, se podalico, il sederino) del piccolo e il collo dell’utero, contribuisce a stimolare la dilatazione di quest’ultimo. Infine, durante l’espulsione del bebè lungo il canale del parso, esso svolge la funzione di un lubrificante favorendone la fuoriuscita.
La lacerazione del sacco amniotico si verifica quando le membrane di cui si compone vengono premute con forza dalla parte del corpo (di solito la testa) del bebè che si presenta per predisporsi all’espulsione.
In genere ciò avviene in modo spontaneo durante il travaglio: in caso contrario la “rottura” viene provocata artificialmente attraverso un’amnioressi (bucando cioè il sacco con uno strumento simile a un uncinetto). Può anche succedere che le acque si rompano spontaneamente qualche ora prima dell’avvio delle doglie, eventualità che richiede che la donna si rechi nel giro di un paio d’ore in ospedale.
Quando si verifica la rottura delle acque, è importante controllare che il liquido amniotico sia trasparente: questa colorazione indica, infatti, una condizione di “benessere fetale”, mentre se il liquido appare di un colore tendente al verde o al giallo, si è in presenza di sofferenza fetale.
Questa tinta più scura dipende dalla presenza nel liquido amniotico di meconio, materiale contenuto nell’intestino del neonato che, in genere, viene emesso entro le prime 24-48 ore dopo la nascita. In alcuni casi tale emissione avviene però già in utero: in particolare ciò tende a verificarsi nei bambini con ritardo di crescita intrauterina e in quelli post-termine (oltre la 42° settimana di gestazione) o comunque laddove vi sia sofferenza fetale.
Tra le possibili cause all’origine di un’emissione prematura rientra un episodio di asfissia associato a ipossia (ovvero riduzione dell’ossigeno nel sangue) che provoca un aumento della peristalsi del feto e quindi la fuoriuscita di meconio nel liquido amniotico.