Ad alcuni piace chiamarla malattia del bacio, in realtà la mononucleosi è un’infezione virale che si propaga per via aerea. Colpisce i bambini e gli adolescenti, ma è possibile contrarla anche in età adulta. Il virus della mononucleosi si chiama Epstein-Barr, dal nome dei due virologi inglesi che per la prima lo isolarono nel 1964. Fa parte della famiglia dei virus erpetici, in genere si annida all’altezza delle tonsille, quindi può essere trasmesso a chi non è già immune, da chi ha l’infezione in corso attraverso la saliva, da qui l’idea che il contagio avvenga tramite i baci.
In realtà la mononucleosi si diffonde come molte altre malattie di origine virale, compresi i raffreddori e le influenze: le goccioline di saliva infetta, che si espellono respirando, infatti, circolano negli ambienti chiusi e si depositano sugli oggetti che passano di mano in mano.
Il contagio può avvenire durante tutta la fase acuta della mononucleosi, che normalmente dura dai sette ai venti giorni, ma anche quando il virus si riattiva di tanto in tanto, pur senza dare sintomi evidenti. Normalmente si manifesta con febbre, che può diventare alta in poco tempo; tonsille con presenza di grosse placche di pus; aumento di volume dei linfonodi ai lati del collo; ingrossamento della milza. Tuttavia l’infezione può comparire anche con sintomi più blandi e aspecifici, tanto che spesso è confusa con l’influenza.
Per confermare una diagnosi di mononucleosi è necessario fare la ricerca nel sangue degli anticorpi. In particolare, se i valori degli anticorpi Igm sono elevati, significa che l’infezione è nella fase acuta. Le Igm tenderanno a calare, fino a scomparire, entro due o tre mesi. Dopo la guarigione, invece, nel sangue si rintracciamo gli anticorpi Igg, che indicano che il virus è stato contratto in passato.
Nella maggior parte dei casi la mononucleosi non si cura, ma si aspetta che l’organismo debelli spontaneamente la malattia, con un periodo di riposo prolungato. Quando la mononucleosi è accompagnata da un’infezione batterica alla faringe è necessario intervenire con una cura antibiotica, che però in alcuni casi può scatenare reazioni esantematiche. Solo nelle forme più serie, quando, per esempio, l’infezione crea un’encefalite o se il malato è immunodepresso, si fa ricorso ai farmaci antivirali specifici come il gancyclovir.