Sul mercato sono esistenti da ormai diciassette anni. Parliamo dei farmaci generici, medicinali equipollenti ai farmaci ‘griffati’ dal momento che la composizione qualitativa e quantitativa è identica per ciò che concerne le sostanze. La forma farmaceutica del medicinale generico è, altresì, identica alla forma farmaceutica del medicinale di marca.
Eppure, malgrado tale principio di bioequivalenza che gli studi hanno sempre confermato, sono pochi gli italiani che preferiscono affidarsi ai farmaci generici. L’utilizzo di tali medicinali in Italia è più basso del 50% in confronto all’utilizzo che se ne fa in altri Paesi europei quali ad esempio la Francia.
C’è poi da aggiungere che i farmaci euquivalenti, messi sul mercato senza avere un marchio ‘rinomato, e definito dal punto di vista commerciale, hanno dei costi di produzione più bassi che implicano anche un risparmio per i pazienti. Conservano, oltretutto, la DCI (ovvero la Denominazione Comune Internazionale) ed hanno pertanto tutte le carte in regola per essere definiti come degli ottimi strumenti di cura. Ma neanche il risparmio sembra convincere i più scettici.
Così, numeri alla mano, durante lo scorso anno in Italia sono state spese cifre pari al miliardo di euro piuttosto che risparmiare usando i farmaci generici in luogo dei farmaci originali.
Ma la colpa è sempre dei pazienti? Spesso si tratta anche di un problema gnoseologico. I farmaci generici peccano in quanto a pubblicità e non sempre i farmacisti li propongono a coloro i quali si recano in farmacia per l’acquisto. Dal luglio dello scorso anno però è attiva la legge che impone ai farmacisti di mettere a conoscenza i pazienti della possibilità di rimpiazzare i medicinali prescritti con medicinali equivalenti e ugualmente efficaci.