Secondo una recente indagine curata dagli scienziati dell’università di Milano-Bicocca su 20 persone, sembra che la musica sia in grado di plasmare i neuroni al punto che le onde cerebrali sono in grado di far capire agli osservatori se la persona suona uno strumento e quale.
Non soltanto è possibile sapere se una persona suona uno strumento, ma secondo questa ricerca è possibile scoprire anche quale. Un ulteriore tassello nella dimostrazione che la musica fa bene al cervello, soprattutto in età evolutiva e quando si ha la necessità di non perdere l’elasticità della mente.
L’esperimento ha coinvolto 10 giovani dai 21 ai 32 anni, diplomati al Conservatorio Giuseppe Verdi del capoluogo lombardo, e 10 studenti universitari non musicisti. Il lavoro, apparso sulla rivista ‘Music Perception’, pubblicata da University of California Press, è stato condotto da Alice Mado Proverbio, docente di Neuroscienze cognitive presso il Dipartimento di Psicologia della Bicocca, insieme al suo gruppo di ricerca in Neuroscienze della musica, coaudiuvati da Andrea Orlandi, dottorando in Psicologia.
Com’è stato condotto l’esperimento
L’Adnkronos salute ha spiegato le modalità dell’esperimento che è passato attraverso la somministrazione di 180 video ai partecipanti. Video in cui erano eseguite una o due note con violini e clarinetti. Sotto osservazione il comportamento dei neuroni. Si è notato subito che “a seconda dell’esperienza o delle caratteristiche della persona, cambierà il livello di attivazione cerebrale. Il legame cercato dal Bicocca Erp Lab è quello che associa il timbro di uno strumento musicale alle competenze individuali, permettendo di capire se c’è familiarità con determinati suoni musicali e con uno specifico strumento.”
Senza entrare nel merito delle particolarità tecniche dell’esperimento, ecco la spiegazione dei risultati in una lunga nota dell’università:
“La spiegazione si trova nella corteccia prefrontale del nostro cervello – si legge in una nota dalla Bicocca – Questa regione codifica gli stimoli (basandosi sugli input che provengono dall’area uditiva, la corteccia temporale superiore) e si relaziona con stimoli già codificati, integrandoli con le nostre conoscenze pregresse. Ci consente cioè di ‘leggere’ la realtà e interpretarla”. Inoltre “è sensibile alla familiarità”, e di conseguenza “si può capire se il cervello (quindi la persona) ha già ‘incontrato’ una determinata informazione e se ciò sia accaduto con frequenza”.
“Poiché il nostro cervello, e in particolare la corteccia prefrontale, dedica un’attività elaborativa meno intensa alla codifica di materiale già noto o familiare – commenta Mado Proverbio – è possibile stabilire, osservando le ‘anterior negativities’ frontali, qual è lo strumento suonato da una persona di cui non si sa nulla, oppure escludere che suoni uno strumento musicale”.
“E’ uno studio di ‘mind reading’, o lettura del pensiero – conclude – per cui si individuano delle ‘firme neurali’ di rappresentazioni mentali, rendendo possibile la messa a punto di algoritmi in grado di ricostruire esperienze percettive dinamiche”.