Con il termine retinite pigmentosa si indica un gruppo di malattie ereditarie caratterizzate da una progressiva degenerazione della retina. È diffusa soprattutto nelle valli e nelle isole, dove sono più frequenti i matrimoni tra consanguinei e quindi è maggiore la possibilità di trasmettere il gene difettoso. Colpisce più spesso tra la pubertà e l’età adulta, ma qualche volta compare nella prima infanzia. I vari tipi di retinite pigmentosa sono dovuti a un cattivo funzionamento delle cellule visive che si trovano sulla retina: i coni e i bastoncelli, cellule sensibili alla luce. I coni recepiscono soprattutto gli articolari delle immagini e i diversi colori, mentre i bastoncelli sono sensibili al contrasto tra il chiaro e lo scuro e al movimento degli oggetti.
Per esempio, quando si legge o si osservano piccoli particolari, il cervello impiega la macula, la parte centrale della retina, dove sono concentrati soprattutto i coni. Per la visione periferica viene sfruttata maggiormente la periferia della retina, che presenta un numero maggiore di bastoncelli. I vari tipi di retinite pigmentosa sono dovuti proprio a una degenerazione dei coni e soprattutto dei bastoncelli, che a poco a poco perdono la funzionalità. In questo modo la capacità visiva è progressivamente ridotta.
Gli esami per scoprire la retinite pigmentosa
Quando una persona avverte i primi disturbi tipici della retinite pigmentosa deve rivolgersi subito a un oftalmologo. Lo specialista esegue un esame del visus (che consiste nel far leggere una serie di caratteri diversi) e anche del fondo dell’occhio instillando alcune gocce di un collirio che dilata la pupilla, consentendo una valutazione approfondita. Serve per valutare lo stato di salute della retina e di ricercare la presenza di caratteristiche macchie di pigmento (macchie colora) sulla superficie. È utile per avere una valutazione oggettiva delle difficoltà visive percepite dalla persona.
L’elettroretinogramma, invece, è una sorta di elettrocardiogramma dell’occhio e registra la risposta dell’attività elettrica a particolari stimoli luminosi, utilizzando un elettrodo costituito da un filo d’argento posto a contatto con l’occhio e da un altro filo appoggiato sulla fronte. In tal modo è possibile valutare distintamente la funzionalità dei coni e dei bastoncelli. Un esame particolare è la fluorangiografia, che si esegue iniettando una sostanza fluorescente e fotografando quindi la retina in tempi diversi. Attraverso la circolazione del sangue, la sostanza giunge alla retina, colorando e rendendo visibili le arterie, le vene e i capillari, Si rivela così l’iperfluorescenza diffusa della retina con tipiche chiazze anche quando, con l’osservazione strumentale, il fondo oculare si presenta ancora normale.