È ormai diffusa l’abitudine di creare degli ambienti lavorativi open space, i motivi sono molti, primo fra tutti i costi inferiori per realizzarli ma, secondo gli ideatori, anche per facilitare i rapporti fra colleghi, è più semplice scambiarsi le idee ed aumenta lo spirito di collaborazione. Ma le cose non stanno esattamente così, gli studi effettuati danno ben altro risultato, sono in pochi ad amare il continuo brusio alle loro spalle, non c’è un minimo di privacy e la tentazione di mettere a tacere i colleghi in modi non consoni è forte.
La Berkeley’s Center for the Built Environment, ha condotto un’indagine su 65 mila lavoratori sparsi nei cinque continenti, la lamentela più frequente è stata la costrizione di lavorare a stretto contatto con i colleghi in una sorta di alveare con la sensazione di sentirsi sotto stretta sorveglianza, infine, è gioco forza che gli altri colleghi ascoltino fatti privati che è impossibile ignorare lavorando a pochi centimetri di distanza l’uno dall’altro.
Anne Laure Fayard, docente al Politecnico dell’università di New York, studiosa del fenomeno degli uffici open space, sostiene che le conversazioni diventano superficiali, a volte inutili, per scongiurare il pericolo di essere fin troppo ascoltati. Chi vuole parlare in privato, si rintana nel bagno o si manda sms e mail.
Gli studi sull’argomento lavoro negli open space si sprecano, l’Istituto Finlandese di Medicina del Lavoro ha dimostrato che lavorare ed ascoltare le conversazioni altrui riduce dal 5 al 10 per cento le performance cognitive che coinvolgono soprattutto la memoria. Il fastidio più serio è il rumore che viene immediatamente assorbito dalla memoria di lavoro del cervello. Per testare i fastidi, una compagnia di software statunitense ha creato un sistema che produce un ronzio simile a quello dei sistemi di ventilazione, identico a quello della voce umana.
Il sistema è stato sperimentato per tre mesi, ad insaputa dei lavoratori, quando è stato spento, sono scattate immediatamente le lamentele, qualcosa era cambiato, ma non sapevano di cosa si trattasse. L’ingegnoso sistema consentiva di non essere distratti da conversazioni a distanza di sei metri, di regola si riescono a sentire persone distanti da noi venti metri.
L’alternativa al “rumore rosa”, così è stato battezzato il bislacco sistema, è creare delle zone divise da separè, in pratica, ci si vede ma non ci si sente, un giusto compromesso per non far sapere agli altri cose che non vorresti si sapessero e, per contro, non si è costretti ad ascoltare fatti squisitamente degli altri, oltre al migliorare il benessere nell’ambiente lavorativo.
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