In Italia i malati di tumore sono, purtroppo moltissimi, anche se sono molti i casi in cui gli oncologi sono riusciti a salvarli. Ed arrivati a questo punto, proprio gli oncologi chiedono aiuto ai medici di famiglia per deospedalizzare il più possibile i malati di tumore ed offrire loro una qualità di vita migliore.
Nel nostro paese i malati di tumore sono 2 milioni e 250 mila, fortunatamente circa 1 milione e 285mila si possono definire ‘lungosopravviventi’, vale a dire che sono riusciti a riprendere una vita quotidiana normale, lavorare, praticare sport e diventare genitori. Hanno superato la soglia dei cinque anni senza ricadere nella malattia.
Nella giornata che ha preceduto l’apertura del XIV Congresso nazionale degli oncologi, attualmente in corso a Roma fino al 29 ottobre, si è discusso proprio dei ‘lungosopravviventi’, chiedendosi se sia ancora corretto chiamarli pazienti. Alla domanta rispondono i professori Stefano Cascinu, Presidente dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), e Carmelo Iacono, Presidente della Fondazione AIOM:
Tecnicamente parlando sì. Formalmente non possiamo parlare di persone guarite dal cancro. Ma molte di queste sopravviveranno alla neoplasia e moriranno per altre cause, come il resto della popolazione. Se è vero che siamo riusciti a cronicizzare molte forme di patologie tumorali, dobbiamo rimanere all’erta per evitare il rischio di recidiva. Una possibilità sempre presente. Ma, siccome i numeri sui lungosopravviventi danno indicazioni evidenti, potremmo parlare di italiani guariti.
Un malato di tumore, anche se guarito, ha bisogno di tenersi sotto controllo, una visita periodica per essere sicuri che non ci siamo recidive. Non tutti hanno la fortuna di abitare in città in cui ci sono strutture oncologiche, molti sono costretti ad allontanarsi da casa di parecchi chilometri. Così, fare un controllo di routine diventa problematico, per questo gli oncologi chiedono aiuto ai medici di famiglia. Continuano a spiegare i due professori:
Per questo lanciamo un appello ai medici di famiglia per creare un modello di condivisione del follow-up. Un’alleanza che ottimizzi l’assistenza e diminuisca i tassi di ospedalizzazione durante la sorveglianza clinica. Questo significa poter garantire alle persone una qualità di vita decisamente migliore.
Questo non significherebbe che in caso di necessità o urgenza il centro oncologico non sia presente. La deospedalizzazione, anche della patologia oncologica a lungo termine, ridurrebbe notevolmente i costi, una adeguata collaborazione con i medici di famiglia permetterebbe di realizzare il progetto. Si stanno facendo enormi passi avanti, riducendo al massimo gli sprechi grazie anche alla diagnosi precoce e nuovi farmaci, il numero di pazienti che possono guarire è destinato ad aumentare.
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