Dopo avervi parlato della leucemia acuta, della leucemia acuta promielocitica e della leucemia acuta mieloide, riportiamo quanto si legge sul sito ail.it per quanto riguarda la leucemia linfoide acuta:
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Terapia: la terapia della LLA è molto complessa e ha una durata approssimativa di 2 anni. Esistono diversi schemi terapeutici e l’intensità del trattamento è diversa nella popolazione pediatrica, dove vengono usati regimi più intensivi. In generale, il programma chemioterapico previsto per la terapia delle LLA si può schematicamente dividere in 4 fasi:
Chemioterapia di induzione: ha lo scopo di ottenere la scomparsa delle cellule leucemiche dal midollo osseo emopoietico e dal sangue periferico (remissione completa); si basa generalmente su schemi a 4 o 5 farmaci (Vincristina, Prednisone, Daunorubicina, Asparaginasi, Ciclofosfamide) e ha una durata approssimativa di 30-50 giorni. Alcuni schemi prevedono una seconda induzione basata sull’uso di altri farmaci (6-mercaptopurina, Citarabina, Ciclofosfamide);
Chemioterapia di consolidamento: è molto diversificata a seconda dei diversi schemi. Generalmente è basata sull’uso di chemioterapia ad alte dosi. I farmaci più frequentemente utilizzati in questa fase sono Methotrexate, Citarabina, Ciclofosfamide, Etoposide, Mitoxantrone e Asparaginasi;
Chemioterapia di reinduzione: generalmente basata sui medesimi farmaci dell’induzione, ma somministrati con modalità e dosaggi diversi;
Chemioterapia di mantenimento: basata sulla somministrazione per via orale o intramuscolare di 6-mercaptopurina e Methotrexate. Durante questa fase, della durata di circa 1 anno, è necessario effettuare delle periodiche reinduzioni, utilizzando generalmente Vincristina e Daunorubicina.Durante tutte le fasi del trattamento è assolutamente necessario effettuare una profilassi delle localizzazioni del SNC mediante la somministrazione per via endorachidea (rachicentesi medicate) di chemioterapici (in genere Methotrexate o Citarabina). In media il trattamento di una LLA prevede circa 15-18 rachicentesi medicate per ridurre il rischio che, durante la terapia, si possa verificare una ripresa di malattia a livello meningeo. Una possibile alternativa, usata in casi selezionati, è l’uso della radioterapia cranio-spinale.
Il trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche (CSE) da donatore familiare compatibile e da donatore non consanguineo ad alta affinità ha delle precise indicazioni, specie nei pazienti pediatrici. Generalmente viene effettuato:
– nei pazienti ad alto rischio in prima linea di trattamento;
– nei pazienti resistenti dopo la terapia di induzione;
– nei pazienti che vanno incontro ad un recidiva precoce di malattia.Non esistono delle indicazioni per il trapianto autologo di CSE, con il quale si ottengono dei risultati sovrapponibili alla chemioterapia di consolidamento/mantenimento.
LLA Philadelphia positive
Un discorso a parte meritano le così dette LLA Philadelphia positive, ovvero quelle LLA in cui alla diagnosi viene riscontrata nei blasti leucemici la traslocazione t(9;22) che determina la formazione del gene di fusione BCR-ABL. Questa forma di leucemia è tipica del’età più avanzata e rara nella popolazione pediatrica, e costituisce circa il 30% delle nuove diagnosi di LLA nei pazienti con età maggiore di 60 anni. Da un punto di vista clinico si caratterizza per la notevole aggressività, la spiccata tendenza alla meningosi leucemica sin dall’esordio della malattia e alla prognosi pessima, dovuta alla elevata frequenza di recidive precoci dopo il raggiungimento della remissione completa. Pur essendo universalmente riconosciuta come un tipo di LLA ad alto rischio, oggi è possibile utilizzare nel trattamento di questa malattia alcuni farmaci “intelligenti” che sono in grado di inibire la proteina di fusione che deriva dall’anomalia cromosomica presente nelle cellule leucemiche e che, almeno in parte, è responsabile del processo di trasformazione neoplastica. Questi farmaci sono essenzialmente 2, l’Imatinib e il Dasatinib. Al momento attuale sono in corso molti studi che hanno lo scopo di valutare come meglio utilizzare queste terapie e come poterle combinare con la chemioterapia. Ad oggi, le linee guida internazionali indicano la necessità di trattare in prima linea questi pazienti con l’associazione dell’Imatinib con la chemioterapia di induzione e di prevedere, per i pazienti eleggibili con donatore HLA-compatibile familiare o non correlato, l’intensificazione con il trapianto allogenico di CSE in prima remissione completa. Non è al momento chiaro se questi pazienti possano beneficiare di una terapia di mantenimento con l’Imatinib dopo il trapianto. Per i pazienti senza donatori disponibili, è bene associare l’Imatinib a tutte le fasi della chemioterapia di consolidamento/mantenimento.
Infine, nel 2007 uno studio del gruppo italiano GIMEMA ha permesso di dimostrare la notevole efficacia di una terapia di induzione basata sull’uso dei corticosteroidi in associazione al solo Imatinib o Dasatinib nei pazienti con nuova diagnosi di LLA di età maggiore ai 60 anni. I brillanti risultati ottenuti in questa tipologia di pazienti (con sopravvivenze mediane nettamente superiori rispetto a quelle ottenute con la terapia convenzionale) ha spinto molti gruppi cooperativi a sperimentare terapie di induzione non basate sulla chemioterapia anche nei pazienti più giovani. I risultati di questi studi ancora non sono disponibili, ma ci sono notevoli aspettative da parte della comunità scientifica mondiale.LLA L3
La forma di LLA che viene nominata dal sistema di classificazione FAB come L3 è una entità nosologica a sé stante, sia da un punto di vista clinico che biologico e costituisce circa il 4-7% di tutte le forme di LLA. La LLA L3 è una forma di leucemia ad elevatissimo livello di aggressività, che da un punto di vista clinico è di fatto indistinguibile dalla forma leucemizzata del linfoma di Burkitt. Per tal motivo alla diagnosi è frequentemente caratterizzata dalla presenza di diffuse linfoadenomegalie e masse neoplastiche di elevate dimensioni, con una spiccata tendenza al coinvolgimento del SNC. L’esordio della malattia è brusco e sono sempre presenti sintomi sistemici di rilievo. Le cellule leucemiche della LLA L3 presentano almeno 3 caratteristiche peculiari che ne consentono una facile distinzione dalle altre forme di LLA:Da un punto di vista morfologico sono caratterizzate dalla presenza costante di vacuoli citoplasmatici, che risultano quasi patognomonici di questa malattia;
Da un punto di vista immunofenotipico sono caratterizzate dall’espressione sulla superficie cellulare di immunoglobuline monoclonali, dalla frequente espressione del CD20 e dalla mancata espressione di marcatori di immaturità (come TdT, HLA-DR e CD34);
Da un punto di vista genetico sono caratterizzate dalla presenza della traslocazione t(8;14) che porta alla abnorme espressione del gene c-myc, responsabile della perdita del normale controllo della proliferazione cellulare.La terapia di questa forma di LLA si discosta nettamente dalla altre: infatti, sono stati ottenuti dei risultati notevoli con l’utilizzo di schemi polichemioterapici ad alte dosi somministrati in maniera sequenziale ed intensiva basati sull’uso di farmaci come il Methotrexate ad alte dosi, la Citarabina ad alte dosi, la Ciclofosfamide a dosi iperfrazionate, la Vincristina, l’Ifosfamide, la Adriamicina e l’Etoposide. Inoltre, un ulteriore miglioramento nella prognosi di questa malattia è stato ottenuto associando a questi schemi chemioterapici l’uso dell’anticorpo monoclonale anti CD20 Rituximab. Questi schemi permettono di ottenere una guarigione di questa malattia in percentuali che si aggirano tra il 70 e l’80% a seconda dell’estensione della malattia all’esordio: per tale motivo, non è indicato l’uso dell’intensificazione con trapianto allogenico di CSE in prima remissione completa.
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