Bambini, adolescenti e ovre65 sono i più colpiti dall’epilessia. Lo dice una ricerca che spiega anche quali tipi di crisi devono affrontare le persone con questo problema.
25.000 nuovi casi ogni anno sono quelli dell’epilessia. Se n’è parlato lunedì 8 febbraio in occasione della giornata mondiale dell’Epilessia. La società italiana di neurologia ne ha approfittato per richiamare l’attenzione sulla diagnosi che fino a questo momento è passata un po’ sotto gamba. Il fatto è che non tutti sanno che le crisi epilettiche possono essere anche parziali, lievi e quindi non dare nell’occhio.
Il paziente epilettico che abbia una crisi parziale, solitamente resta cosciente ma avverte alcuni black-out:
- crisi visive: sensazioni visive;
- crisi uditive: sensazioni acustiche;
- crisi vegetative, la cosiddetta “aura epigastrica“: sensazioni fastidiose allo stomaco simili a un pugno e alla gola, con palpitazione e rossore del volto;
- crisi dismnesiche: impressioni di “già visto” o “già vissuto”;
- crisi affettive: stati di animo di paura improvvisa simili agli attacchi di panico;
- forti nausee.
Questo non vuol dire che ogni volta che ci sono questi sintomi occorre allarmarsi ma va fatta molta attenzione ai soggetti deboli. Il Prof. Umberto Aguglia, Coordinatore Gruppo di Studio Epilessie SIN, Professore Ordinario di Neurologia presso l’Università Magna Graecia di Catanzaro e Direttore del Centro Regionale Epilessie A.O. Bianchi Melacrino Morelli Reggio Calabria spiega:
“Oggi registriamo un ritardo di molti anni, in alcuni casi fino a 30 anni, nella diagnosi dell’epilessia che esordisce in età adulta con crisi parziali non convulsive senza perdita di coscienza. Nella maggior parte dei casi il ritardo è riconducibile al paziente stesso che sottovaluta le crisi, nel 30%, invece, è il medico a non riconoscere i sintomi e a formulare una diagnosi errata. E’ fondamentale, quindi, sensibilizzare pazienti e classe medica sull’esistenza di sintomi che vanno oltre la più conosciuta crisi convulsiva”.